La democrazia in fasce e non in fascio. La lezione della Germania post Trattato di Versailles in questi giorni di emergenza da coronavirus.


Le tendenze a sovvertire e rimpiazzare le strutture democratico-rappresentative con l’uomo forte hanno da sempre trovato terreno fertile in ogni periodo di crisi, ossia quando la popolazione è più fragile sia dal punto di vista economico ma soprattutto psicologico. Cosi nel febbraio 1920 Hitler tenne uno dei suoi primi comizi presso una birreria a Monaco di Baviera, e non fu soltanto la sua abilità oratoria che gli diede fama e ne agevolò l’ascesa al potere culminata il 2 agosto 1934, data in cui accentrò su di se tutte le cariche istituzionali; ma ci fu altro.

Quell’altro è rappresentato dalla profonda crisi economica che il popolo tedesco subiva sin dalla firma del trattato di Versailles, dalla sua esasperazione, e dalla volontà-speranza di abbandonarsi all’Uomo solo al comando, colui in grado di decidere in maniera immediata e senza consultare nessuno, cosa fosse meglio per il popolo. In Italia non ci fu l’uomo solo al comando, almeno non all’inizio. Ben avvezzi alle lotte intestine, noi italiani individuiamo il nostro dittatore tra chi è in grado di urlare più forte degli altri. Negli anni Venti gli urlatori erano molti, ma due spiccavano in maniera particolare; D’Annunzio e Mussolini. D’Annunzio, estroso ed incline a qualsiasi vizio, Mussolini idealista a velleitario, un po' più pragmatico del primo. I due risolsero il loro “conflitto” nella classica maniera italica, ossia spartendosi il potere. D’annunzio sarebbe stato il Poeta vate, guida spirituale del Popolo, a Mussolini, invece, il ruolo di Duce che significa condottiero, dal verbo latino all’infinito ducere, condurre. In cambio Mussolini pagava lautamente il Vate in soldi, cocaina e assicurandogli la compagnia di belle fanciulle.  



Nelle scuole italiane stranamente la storia la si studia in “pillole” senza capire cosa sia stata la Prima guerra mondiale e dando spazio soltanto alla Seconda. In realtà il secondo conflitto mondiale non è altro che il prosieguo del primo, e la storia la si comprende soltanto se si parte dall’inizio. Historia magistra vitae – storia come maestra di vita – ma soltanto se siamo in grado di capire a fondo gli eventi e le ragioni scatenanti, dunque il mero imparare mnemonicamente delle date, evidentemente, non ci agevola nell’arduo ruolo di trarre quella lezione che ci consenta di “navigare” nel mondo che ci circonda, avendo a nostra disposizione tutti gli strumenti necessari e funzionanti e, senza incappare nel rischio di naufragare in un mondo pseudo complesso ed interconnesso.

Cosi il Primo conflitto mondiale ha cambiato le sorti del mondo, ha spazzato via imperi e dato origine alla nascita di nuovi Stati che prima esistevano soltanto come agglomerati umani i cui membri erano legati gli uni agli altri da un mero spirito embrionale di nazione, intesa dal Manzoni come: «Una d’arme, di lingua, d’altare, / Di memorie, di sangue e di cor»[1].

La Prima guerra mondiale, o Grande guerra che dir si voglia, ha spazzato via imperi quali l’Austro-Ungarico, dalla cui dissoluzione sono nate nuove entità statuali tra cui la Cecoslovacchia, dal 1993 due Stati distinti e separati, nata dalla fusione di Boemia e Moravia sotto la Cechia, fino ad allora appartenute alla corona Austriaca sotto la duplice monarchia imperiale e regia, e la Slovacchia, fino ad allora sotto la corona ungherese per quasi mille anni; l’Ungheria; l’Austria; la Slovenia e la Romania (Trattato del Trianon).  Ha spazzato via l’Impero Ottomano (Trattato di Sèvres), da cui nasce tra gli altri la Turchia, l’Egitto e l’Iraq. È stato uno stravolgimento unico, e la fine del Primo conflitto bellico segnala nascita di un nuovo mondo, che per la Germania ha inizio con il trattato di Versailles firmato il 28 marzo 1919 e in particolare l’art. 231 che stabiliva il principio per cui: «La Germania riconosce che essa è responsabile, per averli causati, di tutti i danni subiti dai governi alleati e associati e dai loro abitanti, in seguito alla guerra, che è stata loro imposta dalla sua aggressione»[2]

La Germania pertanto uscì dalla guerra umiliata, sia perché gli furono addossate tutte le colpe morali di aver causato il conflitto, ricordiamo che il conflitto scoppiò in seguito all'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando d'Asburgo-Este, avvenuto il 28 giugno 1914 a Sarajevo e alla seguente dichiarazione di guerra dell’Impero Austro-Ungarico alla Serbia, sia per le riparazioni a cui fu condannata dal Trattato di Versailles. Cosa prevedevano le riparazioni e perché i Tedeschi di sentirono umiliati? Tra le altre cose esse prevedevano che la Germania risarcisse gli Alleati con un importo pari a 132 miliari di marchi oro in 30 anni, corrispondenti a circa 130 miliardi di euro (suddivisi in circa 4 miliardi l’anno) più l’occupazione di alcuni territori. Da qui all'iperinflazione il passo è breve; i Tedeschi si ritrovarono umiliati dalle potenze straniere e da un Trattato considerato ingiusto; l’iperinflazione faceva perdere valore al marco, tanto che per andare a comprare il pane bisognava girare con carriole o valigie piene di soldi, il cui valore appunto si svalutava di giorno in giorno, ed un giovane Hitler che prometteva di risollevare la situazione. Manca un ingrediente alla ricetta, “l’untore”. 

In queste settimane l’Italia sta vivendo l’emergenza coronavirus. Dai Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) 8 e 9 marzo 2020, emerge un nuovo scenario che per noi nati abbondantemente dopo la fine del Secondo conflitto mondiale e dal lato “giusto” della Cortina di ferro, è anomalo e talvolta incomprensibile; si tratta di una limitazione di fatto della nostra libertà per motivi di salute pubblica e previsto dall’Art. 16 della nostra Costituzione: «Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza». Partendo dal disposto Costituzionale e da altre norme (vedi Legge 400/1988) l’Art. 1 del DPCM dell’8 marzo alla lettera a afferma che bisogna: «Evitare ogni spostamento delle persone fisiche…» mentre sempre l’Art.1 ma del DPCM del 9marzo, alla lettera d, ultimo paragrafo recita: «lo sport e le attività motorie svolti all'aperto sono ammessi esclusivamente a condizione che sia possibile consentire il rispetto della distanza interpersonale di un metro».

Da quest’ultima frase nasce tutto il ragionamento alla base di questo articolo. Perché dunque paragonare questa situazione temporanea e Costituzionalmente legittima, l’emergenza COVID-19, con l’ascesa al potere di Hitler e tutta la digressione sull’importanza storica della Grande guerra al fine, comunque, di inquadrare il momento storico e sociale in cui le idee folli del nazismo hanno trovato terreno fertile? Perché è in questi giorni che gli italiani manifestano la volontà di avere l’uomo forte al potere, rimpiangono quei regimi di cui ne ignorano totalmente il significato, escludendo l’aspetto folkloristico, e addirittura invocano la pena di morte per chi esce di casa, il cosiddetto “modello cinese”. In realtà l’odio verso gli altri, le tendenze populiste ed antieuropeiste non nascono oggi, alla luce deicommenti di Lagarde, la governatrice della BCE, ma già ai “tempi” dell’emergenza migranti; e si, sembra passato tanto tempo ma non lo è. Imigranti, comunque, continuano a sbarcare e a morire in Europa, ma il nostro cruccio è spiare il vicino di casa che con la scusa dei bisogni del cane si è azzardato addirittura di fare una passeggiata di ben 500 metri, allora facciamoci spiare dallo Stato.


Pertanto, riprendendo il disposto dell’Art.1 «Lo sport e le attività motorie svolti all'aperto sono ammessi esclusivamente a condizione che sia possibile consentire il rispetto della distanza interpersonale di un metro» in un Paese normale sarebbe da interpretare come la possibilità garantita a ciascuno di fare una passeggiata, in solitaria e senza fermarsi a parlare con nessuno, sicché da evitare assembramenti (gruppo di persone adunato all’aperto, per cui anche due persone costituiscono un gruppo, si veda l’esempio degli insieme di aritmetica delle scuole elementari). Tuttavia pare che per molti, invece, il disposto voglia significare altro, ossia consenta di prepararsi a correre una maratona, magari insieme ad un gruppo di amici, piuttosto che andare in giro in bici, o incontrare gli amici al parco o nei boschi. Tutto ciò fa scaturire negli italiani quel senso di odio nei confronti dell’altro e quella volontà di delegare tutto il potere in mano all’Uomo forte, magari invocando pure un momento di dittatura al fine di garantire il rispetto della legge. Il problema però risiede proprio qui. Innanzitutto, malgrado gli odiatori da tastiera sempre pronti ad instillare odi, intolleranza e tensione via social, seppur edulcorata dall’hashtag #iorestoacasa, c’è da ribadire il concetto che chi va a fare una passeggiata in solitaria non commette alcun reato, cosi come neanche gli irresponsabili che si preparano ad una maratona proprio nei giorni di emergenza coronavirus lo commettono. Si, sicuramente saranno dei narcisisti infantili, ma ripeto, è un giudizio sul comportamento “morale” non giuridico; il DPCM lo prevede.

Qual è allora il problema nell’invocare le maniere forti, l’Uomo solo al potere, piuttosto che, seppur momentaneamente, un momento di ulteriore limitazione della nostra libertà. Il problema risiede nella democrazia in quanto tale e nel nostro sistema giuridico. Non so se i Tedeschi degli anni Venti al momento in cui supportavano Hitler nei suoi primi comizi si sarebbero aspettati di compire uno dei massacri più atroci della storia dell’uomo uccidendo sei milioni di ebrei, senza contare il numero di disabili, comunisti e zingari. E magari la fiducia che hanno riposto in Hitler, ai loro occhi, sarebbe stata soltanto temporanea, volta a risolvere i problemi economici post bellici e post Trattato di Versailles . Ma la dittatura non è temporanea. L’abbandono dei metodi democratici è permanente, almeno fin quando il dittatore non va a finire a testa in giù. Pertanto chiederei a quanti negli ultimi anni sono stati definiti “leoni da tastiera”, siete sicuri che invitare a tirare addosso ai passanti dei sassi, per il solo fatto di essere andati a fare una passeggiata, e invocare le maniere forti, non sia uno stanco ed anacronistico richiamo ai tempi bui?

La democrazia è per me come un bambino in fasce, appena nato, se lo scuoti troppo crei effetti irreversibili, arrivando a cagionarne anche la morte. La democrazia è fragile, rimane sempre bisognosa delle nostre cure e del nostro senso della misura. Essa, inoltre, richiede rispetto e comprensione delle ragioni degli altri e forte senso di responsabilità. Se smarriamo o cediamo volontariamente i valori democratici in nome di una dittatura efficace ed efficiente, allora perderemo la nostra libertà, che per un popolo il cui motto al momento è: «Salus Spritz et prandium suprema lex esto» mi pare sia auspicabile.

Chi va a correre o in bici in questo periodo rimane un cretino. Allora puniamo i cretini, non la nostra Italia auspicando che dittature e metodi forti la deturpino e la rovinino. Allora invito tutti, in questi momenti difficili, ad usare meno i social e a leggere di più i libri, manufatti di carta e inchiostro.



[1] Alessandro Manzoni, Marzo 1821
[2] Jean-Baptiste Duroselle, Storia diplomatica dal 1919 ai nostri giorni, Edizioni LED, Milano 1998

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